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Gravidanza: diagnosi preimpianto contro le malattie genetiche

Gravidanza: diagnosi preimpianto contro le malattie genetiche

Una tecnica per evitare che i genitori possano trasmettere ai figli malattie genetiche gravi di cui sono portatori

«L’analisi genetica preimpianto (PGD) rappresenta un importante strumento per evitare che i genitori possano trasmettere ai figli le malattie genetiche di cui loro stessi sono portatori». È quanto afferma Giuditta Filippini, direttrice del laboratorio di genetica del centro per la fertilità ProCrea di Lugano, tra i centri con la maggiore esperienza a livello internazionale sulle diagnosi genetiche preimpianto e struttura che vanta uno dei pochi laboratori tra Svizzera e Italia ad aver accreditato secondo la norma internazionale 15189 il processo di analisi per l’intera diagnosi preimpianto delle malattie monogeniche.

Michael Jemec

«Davanti a malattie per le quali non ci sono cure, occorre percorrere la strada della prevenzione cercando di evitare che possano essere trasmesse dai genitori ai figli. – rileva Michael Jemec, direttore medico di ProCrea – L’importanza della diagnosi preimpianto è stata riconosciuta sia dall’Italia (con il pronunciamento del Tribunale di Milano dello scorso luglio che, confermando l’ordinanza di metà aprile, ha ribadito che se una coppia è affetta da una malattia genetica grave, tale da poter portare a un aborto terapeutico da parte della donna, la coppia ha diritto di ottenere la PGD), sia dalla Svizzera che dal primo settembre ha visto l’entrata in vigore della revisione della legge sulla medicina della procreazione assistita dove si introduce la diagnosi preimpianto, solo se richiesto da una coppia portatrice di una grave malattia genetica ereditaria o da una coppia che non può avere figli naturalmente».

Che cos’è la diagnosi genetica preimpianto? La PGD è una diagnosi che permette di identificare la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche in fasi molto precoci di sviluppo. Può intervenire già a livello dell’ovocita, andando ad analizzare i cosiddetti globuli polari in coppie a elevato rischio riproduttivo, prima che gli embrioni da essi derivati siano impiantati nell’utero, oppure pochi giorni dopo la fecondazione.

«La PGD sui globuli polari, di fatto, non va a interessare l’embrione. È però questa una diagnosi che può fare solamente una valutazione del materiale genetico proveniente dal ramo materno; quindi non si possono vagliare le eventuali malattie genetiche del papà. – spiega il direttore medico – Invece con la diagnosi fatta sull’embrione, la tecnica prevede l’analisi delle cellule del trofoectoderma della blastocisti, ovvero le cellule che andranno a formare la placenta. Con questo tipo di diagnosi è possibile analizzare il materiale genetico proveniente sia dalla mamma sia dal papà. La biopsia viene effettuata già al quinto giorno dopo la fecondazione dell’ovocita, quando si è formato un conglomerato di cellule che ha un diametro poco più grande di un decimo di millimetro. L’obiettivo di questa tecnica è duplice, ossia impedire la trasmissione di patologie ereditarie e, al contempo, evitare l’eventuale ricorso all’aborto terapeutico».

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