728 x 90

Oltre i Nirvana, il nuovo libro di Valeria Sgarella

Oltre i Nirvana, il nuovo libro di Valeria Sgarella

La storia della Sub Pop Records, una casa discografica dal 1988 sull'orlo della bancarotta

È stato dato alle stampe per gli intenditori di musica “Oltre i Nirvana”, il secondo libro della giornalista Valeria Sgarella, che ha ha lavorato a MTV e trascorso più di vent’anni nel mondo della radiofonia italiana. Ha anche scritto – e scrive – di musica e spettacolo per Maxim, Donna Moderna, Vanity Fair, Rockit, il Mucchio, Humans Vs Robots.

Nel 2017, dopo un lungo viaggio a Seattle alla ricerca di testimonianze, Sgarella ha pubblicato il suo primo libro: “Andy Wood, l’inventore del grunge”, (Area 51 Edizioni/Ledizioni), la biografia di Andy Wood, protagonista meno noto ma influente dell’era grunge.
E nel 2018, “Oltre i Nirvana – Sub Pop Records: storia di una casa discografica dal 1988 sull’orlo della bancarotta”, 240 pagine, Edizioni del Gattaccio, collana Abbey Road diretta da Davide Verazzani, prezzo di copertina 15 euro. È disponibile anche in ebook.

Il libro è stato presentato nei giorni scorsi nella libreria editrice “La Memoria del Mondo” di Magenta, nel cuore più verde del Parco del Ticino, ad una manciata di chilometri dalla caotica metropoli milanese.

Ecco la sinossi. Nel 1979, Bruce Pavitt, studente e dj di una college radio di Olympia (Stato di Washington, USA), fonda una fanzine dedicata alle band indipendenti americane e la chiama “Subterranean Pop”, nome che presto viene abbreviato in “Sub Pop”. Alla rivista, Bruce unisce presto l’omonima compilation su musicassetta, e una rubrica su una nota rivista di musica locale.

Nel 1986, Bruce si trasferisce a Seattle e lì pubblica la fondamentale raccolta Sub Pop 100. A lui si unisce il collega Jonathan Poneman e, insieme danno vita a una delle più innovative case discografiche del pianeta, base di lancio del cosiddetto grunge, e che avrà in scuderia nomi come Nirvana, Soundgarden e Mudhoney prima, Fleet Foxes, Iron & Wine, Beach House, e Low dopo.

Un’avventura fatta di genialità, nuovi linguaggi di comunicazione, bancarotta in continuo agguato, drammi personali e collettivi. Soprattutto, una storia che segna la musica degli ultimi decenni. Questo è il primo libro che ne racconta la cavalcata. L’autrice ha svolto il lavoro di stesura con la piena collaborazione della Sub Pop, avendo accesso a fonti di prima mano e raccogliendo, nel corso di varie visite a Seattle, testimonianze, ricordi, immagini e dettagli inediti.

Valeria Sgarella

Per saperne di più E.comunità ha intervistato l’autrice Valeria Sgarella.

Tante esperienze radiofoniche e uno dopo l’altro due libri che ruotano attorno a Seattle e il grunge. Da dove nasce la tua passione per la musica? Quanto questo genere musicale degli Anni Novanta ha influenzato la tua vita? 

«Il lavoro legato alla radio ha contaminato molto i miei gusti in fatto di musica. Mi ha reso molto volubile e poco radicata nelle correnti. Gli anni Novanta sono stati un’era estremamente fertile e ricca in quanto a varietà, dunque mi sono trovata ad apprezzare certe produzioni grunge, così come certe produzioni acid house e brit pop. America e UK erano fronti contrapposti per me. C’erano però due costanti, in questa mia incostanza: si chiamavano Alice In Chains e Pearl Jam».

Chi, a tuo avviso, la band del periodo grunge che ha lasciato il segno? Hai notato che stanno tornando tutti, almeno i sopravvissuti, con nuovi album? Mudhoney, Alice in Chains….Come te lo spieghi?

«Me lo spiego col fatto che non hanno ecceduto in stupefacenti. Almeno, se non altro, hanno smesso in tempo. Battute caustiche a parte, i Mudhoney non se ne sono mai andati. Sono probabilmente la band più prolifica e costante di Seattle e dintorni. Per gli Alice in Chains il discorso è diverso: c’è una vita pre-Layne Staley e una vita post-Layne Staley. Portare avanti una band senza il suo leader storico è un atto eroico. In tutti i casi, per me, c’è l’esigenza di andare avanti. E non soltanto per questioni legate alla sopravvivenza economica».

Qual è il tuo parere sul proliferare ovunque di cover band, alcune tra l’altro formate da ottimi musicisti? I locali non chiedono altro. No a produzioni proprie. Le giovani band non osano. Che cosa si deve fare per ascoltare soprattutto dal vivo solo inediti, qualcosa di nuovo e interessante?

«La cover band e le tribute band sono una garanzia perché propongono cose già conosciute e soprattutto perché cavalcano la sempreverde attitudine alla nostalgia. Conosco però diverse tribute band che portano avanti percorsi paralleli con una produzione propria e pezzi inediti. Indubbiamente fanno più fatica. Ma almeno ci provano. Sul fatto che ci sia la carenza di musica nuova interessante io sono sempre un po’ titubante. Vivo a Milano, e credo basti informarsi per avere musica nuova praticamente ogni sera. Poi il concetto di “interessante” è da virare sui gusti personali».

Qual è lo stato di salute del rock in Italia in generale e a Milano e dintorni in particolare?

«Io ti direi che la salute è ottima perché, riallacciandomi alla risposta precedente, a Milano c’è un’offerta molto ampia, se la raffrontiamo con altre città italiane. Ci trovi il live metal, il concerto hardcore, il concerto dei vecchi dinosauri del rock, e offerte più piccole nei club minori. Temo che il concetto di “rock” sia spesso legato a un’idea generazionale che non è compatibile col 2018».

Come mezzo di diffusione di massa per la musica meglio la radio che non muore mai, i social, la televisione, la cara e vecchia carta stampata o un po’ di tutto?

«Direi, un abile mix di tutto questo. Aggiungendo le tanto vituperate piattaforme di streaming».

Danilo Lenzo
ADMINISTRATOR
PROFILE

In evidenza

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked with *

Cancel reply

Ultimi Post

Top Autori

+ commentati

Video