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Le giuste domande per giovani e adulti

Le giuste domande per giovani e adulti

Riflessioni e domande su giovani e adulti, in occasione degli incontri avvenuti a Magenta

Evento del 15 giugno 2018 con i giovani

Tre sono stati gli incontri sui giovani offerti quest’anno alla Città, frutto di una felice collaborazione tra la pastorale giovanile della nostra Comunità, l’Amministrazione Comunale e l’associazione culturale E.comunità per cercare di conoscere potenzialità e fragilità dei giovani e più ancora per metterci in loro ascolto.

Personalmente ho potuto partecipare a due di questi, e venerdì scorso, 15 giugno, ero presente alla serata in cui sul palco si trovavano sei giovani (tre ragazzi e tre ragazze per la par condicio, dai sedici ai trent’anni) ed erano loro i protagonisti che rispondevano alle domande. Alla fine, qualcuno mi ha detto: “Molto bello, ma questa sera mancavano i giovani”. Vero, ma mi domando: mancavano solo loro?

Non c’è incontro, sia in ambito civile come in quello ecclesiale, che non si concluda con un appello ai giovani, di cui spesso lamentiamo l’assenza e a cui vorremmo mettere sulle spalle, d’emblée, affidandoci alle loro giovani forze, impegni gravosi che spesso noi per primi non vorremmo assumere.
Questo desiderio di vederli presenti è mosso dalla comprensibile volontà e dal positivo desiderio di comunicare ai giovani – perché lo sappiamo bene che il futuro è più loro che nostro – i valori in cui crediamo, le scelte di vita che ci hanno fatto bene e ci hanno aiutato a crescere.

I – Ma la domanda: “dove sono i giovani?” in realtà ne nasconde un’altra, che dovrebbe venire prima: “dove sono gli adulti?“.
Dove siamo noi adulti? Perché naturalmente mi metto anch’io tra questi, e quanto scrivo anzitutto lo sento rivolto a me; e, se oso dirlo a tutti, è perché prima di tutto lo dico a me stesso.
Cerco una risposta dando la parola al mio docente di ontologia, Mons. Pierangelo Sequeri:

«L’accanimento sulla domanda “Chi sono io?” conduce all’ossessione di una risposta che l’uomo non è in grado di dare, genera frustrazione, malinconia, angoscia e disperazione.
E l’inizio della sapienza è piuttosto chiedersi “Per chi sono io?”. Questa domanda apre le frontiere, inaugura l’avventura, ci rende esploratori di terre sconosciute e cercatori di rapporti fecondi» (La cruna dell’ego. Uscire dal monoteismo del sé, Vita e Pensiero, Milano 2017, 15-16).

Potrebbero essere i giovani a chiederci dove siamo, cosa stiamo facendo, cosa stiamo dicendo, cosa pensiamo. Perché nessuno trova la strada da solo, nessuno diventa adulto da solo, nessuno impara a credere da solo.
Servono persone adulte che aiutino i giovani nei passaggi delicati della loro esistenza, capaci di accompagnare e di ascoltare.
Ma spesso noi adulti siamo troppo indaffarati, forse eccessivamente ripiegati su di noi, alle prese con serie preoccupazioni per il lavoro, la famiglia, la salute (so che sono tante le problematiche di mamme e papà). Ci dimentichiamo così di un compito fondamentale, quello di educare a partire dalle domande, dai desideri che riempiono il cuore dei giovani, gli stessi desideri e domande che, a ben pensarci, avevamo dentro anche noi alla loro età.

II – Bambini, ragazzi, adolescenti e giovani presenti nelle nostre famiglie, nella nostra comunità, nelle scuole, ci devono ricordare che la prima vera emergenza oggi, prima ancora forse di quella economica, è l’emergenza educativa.
Educare è la priorità del nostro tempo e di ogni tempo della storia.
Educare è il nostro compito di adulti che si fanno carico dei più giovani.
E per educare serve: il tempo. Il tempo dato gratuitamente, il tempo donato per prendersi cura, per giocare, per raccontare, per ascoltare domande e ansie, il tempo, perché: “È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante”, dice la Volpe al Piccolo Principe.
Così afferma il filosofo e teologo Romano Guardini (1885-1968):

«Educare significa che io do a quest’uomo coraggio verso se stesso.
Che gli indico i suoi compiti, ed interpreto il suo cammino – non i miei.
Che lo aiuto a conquistare la libertà sua propria.
Devo dunque mettere in moto una storia umana, e personale.
Con quali mezzi? Sicuramente, avvalendomi anche di discorsi, esortazioni, stimolazioni e “metodi” d’ogni genere.
Ma ciò non è ancora il fattore originale. La vita viene destata e accesa solo dalla vita.
La più potente “forza di educazione” consiste nel fatto che io stesso in prima persona mi protendo in avanti e mi affatico a crescere» (Persona e Libertà 1928).

III – Come prete, poi, non posso non avere la preoccupazione per l’educazione alla fede. Tornando a venerdì sera: preso stranamente da timidità, avevo una domanda da porre, che però non ho fatto: “Cosa pensano i giovani di Dio?”.
Mi pongo da molto tempo questa domanda, perché – come dice il documento preparatorio al prossimo Sinodo dei vescovi sul tema “I giovani, la fede, il discernimento vocazionale“: «i giovani non si pongono “contro”, ma stanno imparando a vivere “senza” il Dio presentato dal Vangelo, “senza” la Chiesa».

È l’amara denuncia del nostro fallimento come Comunità cristiana, della nostra difficoltà a “trasmettere/consegnare” il dono della fede ai nostri figli.
Ancora una volta servono adulti, adulti credenti, mamme e papà adulti credenti, preti adulti credenti, nonni e nonne adulti credenti, che mai danno per scontata la fede, sempre pronti a proporre la nostra bella fede nel Dio di Gesù Cristo con convinzione e a testimoniarla con il linguaggio della vita.

Concludo il mio articolo lanciando un SOS.
SOS alla città di Magenta, (alla nostra bella Italia e alla nostra vecchia Europa): servono Adulti per educare i giovani;
SOS alla comunità cristiana di Magenta (e a tutta la Chiesa ambrosiana e cattolica): servono Adulti Credenti per educare alla fede i giovani.
Buon cammino, sempre insieme, giovani e adulti.

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