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Noè: il ciclismo italiano ha bisogno dei giovani

Noè: il ciclismo italiano ha bisogno dei giovani

Andrea Noè protagonista del ciclismo e ancora oggi attivo, segnala pregi, opportunità e ostacoli del ciclismo italiano, sostenendo la “linea verde”

Alessandro Fancellu

Per il ciclismo italiano ci sono motivi di speranza. Le ottime prestazioni negli ultimi Mondiali, coronate dalle due medaglie di bronzo ottenute da Andrea Piccolo e da Alessandro Fancellu. Il movimento nazionale è quindi vitale? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Noè. Ex professionista, grande gregario e protagonista del ciclismo per 19 anni, oggi lavora nella più importante società di procura sportiva All A&J Sports, contano tra i suoi assistiti un fuoriclasse assoluto come Vincenzo Nibali, ma contando anche su giovani talenti come Valerio Conti e Niccolò Bonifazio. Non solo: Andrea è anche presidente della Brontolo Bike, associazione dilettantistica che conta il numero più alto di iscritti in tutta Italia.

Noè è un appassionato di ciclismo e convinto sostenitore della pratica sportiva da vivere fin dagli anni giovanili. Per questo chiediamo a lui quale sia lo stato del ciclismo italiano, a meno di una settimana dalla conclusione dei Mondiali di ciclismo a Innsbruck, in Austria.

Da questi Mondiali di ciclismo da poco conclusi come ne esce il movimento azzurro?
“È stata una vetrina che ha messo in evidenza un vivaio importante di giovani italiani, una compagine più forte a livello organico rispetto ad altre nazioni dove hanno prevalso i singoli. Lo dimostra l’andamento della gara in linea Juniores, in cui quattro azzurri sono arrivati nei primi undici”.

Come giudichi, in particolare la prova di Andrea Piccolo e di Alessandro Fancellu, che hanno ottenuto la medaglia di bronzo rispettivamente nella prova crono e in linea?
“Piccolo ha svolto una preparazione specifica per la crono che ha dato poi un ottimo esito. Mentre poi nella prova in linea ha fatto una corsa in appoggio agli altri suoi compagni, a loro volta preparati al meglio per la competizione. La prova di squadra, come abbiamo detto, ha dato ottimi risultati culminati con il bronzo conquistato da Fancellu”.

Nella prova dei professionisti, invece, è mancata la squadra azzurra, con Moscon quinto come miglior piazzamento generale. C’è bisogno di una nuova “linea verde” che possa rinverdire i fasti del ciclismo italiano?
“Lo speriamo davvero. Va detto che il gruppo azzurro ha espresso i migliori rappresentati per il tipo di gara che doveva essere affrontata. Purtroppo Nibali arrivava da un infortunio, Moscon aveva fatto poche gare che avrebbero potuto portarlo in condizione ancor più ottimale. In ogni caso siamo arrivati vicinissimi al podio e non c’è nulla di recriminare”.

Da presidente di un’associazione dilettantistica e convinto sostenitore del ciclismo soprattutto giovanile, cosa serve per il ciclismo italiano?
“Il ciclismo internazionale è cambiato, si è evoluto, e noi non ci siamo ancora adeguati. In ogni caso contiamo su un vivaio juniores forte – al quale forse si chiede troppo – e disponiamo di un vivaio under 23 indebolito perché non ci sono team continental come avviene all’estero. Ed è un peccato perché in queste compagini internazionali i giovani hanno l’occasione di confrontarsi con il professionismo. In Italia la situazione è rimasta ferma a quella che ho vissuto io 25 anni fa. Un fattore positivo è la rinascita del Giro d’Italia Under 23.
Quello che purtroppo si sconta è soprattutto la mancanza di budget adeguati, un problema comune a molti altri sport. Senza adeguate finanze è assai difficile poter competere all’estero”.

Lo stato delle infrastrutture stradali grava su questa situazione?
“Abbiamo squadre giovanili con organici molto ridotti rispetto al passato: a questo certamente influisce lo stato delle strade e la relativa insicurezza. Nessun genitore lascerà mai un bambino libero di correre su tragitti trafficati e lungo carreggiate strette e malmesse. Finché sono giovanissimi è possibile allenarsi e gareggiare all’interno di un circuito chiuso, ma dai 12 anni in poi si circola in strada. Questo ha portato alla crescita di altri sport che si svolgono in contesti più sicuri.
C’è però anche un altro ostacolo: il ciclismo è uno sport bellissimo, ma impone fatica e sacrifici. I giovani d’oggi mi pare abbiano poca voglia di farne. E così da una parte c’è chi si avvicina al ciclismo in età adulta, scoprendo il piacere di praticarlo a livello amatoriale, ma si è ridotto il bacino da cui pescare per il mondo del professionismo”.

Piccolo da Magenta, Fancellu da Cantù: la Lombardia esce dai mondiali da protagonista. Quali altri regioni esprimono talenti giovanili?
“Le regioni storiche sono Lombardia e Veneto, che trainano il movimento ciclistico nazionale non solo giovanile. Sono quelle che esprimono i numeri più significativi”.

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