Lo studio del codice genetico è utile per prevenire la malattia che in Italia colpisce 4 milioni di persone. Se ne parla in un convegno a Varese
Il diabete è una malattia in progressivo aumento. In Italia è quasi raddoppiata in 30 anni: se nel 1980 coinvolgeva il 2,9% della popolazione, oggi colpisce il 5,3% degli italiani. Secondo l’Istat nel 2016 erano più di 3 milioni e 200 mila le persone che dichiarano di essere affette, cui sia aggiungono almeno un milione di persone non diagnosticate. Nel mondo ne soffrono più di 400 milioni di persone adulte e nel 2040 si arriverà a superare i 650 milioni di malati.
La prevenzione gioca certamente un ruolo fondamentale non solo in chi già ne soffre, ma anche in chi è a rischio. Un’alimentazione attenta e di qualità, esercizio fisico sono due pilastri. Ma c’è di più: oggi è possibile contare anche sullo screening genetico.
Lo racconta Giorgia Carabelli, biologo nutrizionista – nutrigenetista – che insieme a Giorgio Lari, medico specializzato in oftalmologia e al collega Fabrizio Golonia, endocrinologo, terranno un convegno dal titolo “Gestione integrata negli ambulatori di oftalmologia, endocrinologia e nutrizione”, che si terrà venerdì 15 giugno 2018 alle 21 a Varese (presso la sede dell’Associazione Imprenditori Europei – Aime – viale Valganna 190).
Prevenire il diabete col DNA, parla la nutrigenetista
È proprio alla dottoressa e nutrigenetista che chiediamo: è davvero possibile prevenire il diabete grazie alla conoscenza del DNA e attraverso uno specifico test? «Certamente, una volta che sappiamo l’esito del test che aiuta a comprendere se un organismo è più o meno predisposto a sviluppare il diabete. Qualora vi fossero delle positività allora si parte con la prevenzione, eliminando gli alimenti non compatibili con il profilo genetico e introducendo quelli compatibili.
«Non solo: in un recente studio sul gene FTO, solitamente catalogato come gene dell’obesità, si è notato che invece è coinvolto nel metabolismo degli zuccheri e nella sindrome metabolica – spiega la dottoressa Carabelli – Quindi, nel momento in cui si riscontra una positività genetica c’è una maggiore probabilità che il paziente possa diventare diabetico se non cura particolarmente il regime alimentare».
Con l’alimentazione si riesce a migliorare di molto la qualità di vita, anche a livello preventivo, con un tipo di alimentazione mirato «ad abbassare il livello degli zuccheri, utilizzando per esempio farine a basso indice glicemico come la quinoa, amaranto, avena e mais». Nel caso di positività al test del dna, il consiglio della nutrizionista genetista è programmare un piano alimentare che rispecchi in pieno il codice genetico dell’individuo, eliminando tutti quei cibi che fanno alzare il livello glicemico.
La prevenzione alimentare mirata vale sicuramente per il diabete di tipo 2, ma anche nel diabete di tipo 1 si può andare a migliorare il quadro. Lo screening genetico è sicuramente una strada da percorrere, avendo dalla sua il vantaggio della conoscenza sempre più ampia del DNA.
Il parere dell’oftalmologo
Tra le complicazioni cliniche cui va incontro chi è diabetico, ci sono le patologie legate all’occhio. Più precisamente si constata una retinopatia diabetica. Una condizione patologica tutt’altro che rara, purtroppo: « si calcola che la retinopatia diabetica, prima causa di cecità legale nel mondo occidentale (si intente pazienti con residuo visivo inferiore a 1/20) colpisca il 30% dei pazienti diabetici nelle sue varie manifestazioni», racconta il dottor Lari, oftalmologo.
Che sottolinea l’importanza dell’assistenza e della prevenzione anche in campo oculistico: «essa è fondamentale, tenendo conto che la retinopatia diabetica è la complicanza più frequente e grave nel novero di tutte le complicanze della malattia diabetica. Anzi spesso l’oculista è il primo specialista che individua il paziente diabetico, mentre va enfatizzato un aspetto fondamentale della malattia diabetica che spesso il medico di base sottovaluta. A volte il paziente con un diabete considerato lieve non viene inviato dallo specialista oculista, mentre purtroppo le complicanze più temibili si possono manifestare anche nei pazienti che hanno un diabete non grave e magari trattato con con regime dietetico o una semplice compressa di metformina», ossia il farmaco per il trattamento del diabete di tipo 2.
«L’integrazione con endocrinologo e nutrizionista è il punto cruciale – spiega Lari – Se un diabete non è ben controllato dalle terapie e dal trattamento dietetico a poco valgono le terapie di cui siamo in possesso. Ma la vera sfida è evitare che un soggetto a forte rischio genetico diventi un diabetico».
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