In Italia si contano più di 8.000 km di tracciati ferroviari in disuso illustrati in un Atlante. Un patrimonio da rigenerare, trasformandolo in greenway
Chiamiamole ferrovie fantasma. Sono quegli 8000 chilometri di tracciati ferroviari soppressi o inutilizzati che percorrono l’Italia. Una parte di storia dimenticata, un’opportunità mancata di sviluppo, questi tracciati ferroviari raccontano un Belpaese ricco di bellezza, di cultura, di rivoluzione: sì, perché la comparsa delle ferrovie, a partire dal 1825 in Inghilterra e dal 1839 in Italia, “rivoluzionò il sistema dei trasporti terrestri e impose nuovi modi di viaggiare a persone che per secoli si erano mosse a piedi, con il lento progredire di un mulo o, al meglio, di un cavallo”. A raccontarlo è Albano Marcarini, urbanista e cartografo, scrittore di guide e libri di viaggio e ideatore di Co.mo.do, Confederazione per la mobilità dolce. Insieme a Roberto Rovelli, vicepresidente dell’Associazione Italiana Greenways e responsabile del progetto Ferrovie Abbandonate, ha ideato, scritto e coordinato l’Atlante italiano delle ferrovie in disuso, da poco pubblicato. Un’opera che riporta la schedatura di oltre 70 linee ferroviarie in disuso dell’Italia, oltre a fornire preziose indicazioni storiche, culturali e paesaggistiche delle “strade ferrate”.
Atlante italiano delle ferrovie in disuso, un viaggio nel tempo
Leggerlo o anche solo sfogliarlo è un autentico piacere e un viaggio nel tempo, che comincia nel lontano 1839 quando nel Regno delle Due Sicilie, nove carrozze trainate da una locomotiva a vapore inaugurarono la prima ferrovia italiana, da Napoli a Granatello, alla cui cerimonia di inaugurazione presenziò re Ferdinando II e la famiglia reale borbonica.
Da quella prima opera ne seguirono molte altre e il treno divenne il mezzo di trasporto d’eccellenza in una Italia che si stava formando. Nei decenni proseguì il suo sviluppo divenendo la principale arteria, come testimoniano le carte geografiche di inizio Novecento, incentrate sui tracciati ferroviari. Col XX secolo si cominciò a delineare la parabola che portò alla progressiva chiusura di molti tracciati e alla sempre maggiore importanza data alla viabilità stradale. Lo si nota nelle stesse carte: a fine secolo scorso le ferrovie sulle carte sono rappresentate con una linea nera sottilissima o neppure riportate.
Si arriva così a oggi, con 8080 km di vecchi tracciati ferroviari abbandonati o non più regolarmente utilizzati, annota l’Atlante. Solo una decina di linee, per 700 chilometri complessivi, sono ancora utilizzate occasionalmente o stagionalmente per la circolazione di treni turistici, “spesso effettuati con materiale rotabile storico, che richiamano ogni volta centinaia di visitatori, desiderosi di riscoprire il territorio attraverso un viaggio nel passato, con locomotive sbuffanti, vecchie ‘littorine’ e carrozze ‘centoporte’. Servizi turistici che nel prossimo futuro, grazie alla Legge 128/2017 in materia di ferrovie turistiche, potranno essere estesi ad altre linee attualmente in disuso”.
Tutte le regioni italiane hanno conosciuto il fenomeno dell’abbandono delle ferrovie, anche se nel Sud e nelle isole il fenomeno è ancora più evidente: il 25% delle ferrovie soppresse o parzialmente inutilizzate si trova nelle isole, il 23% nel Mezzogiorno, il 21% al nord-est, il 17% al nord-ovest e il restante 14% nel Centro Italia.
La regione che presenta la maggior estensione di binari dismessi è la Sicilia, con 1210 km di linee non più utilizzate: va detto, però che la regione siciliana ha adottato nel 2005 un piano strategico di valorizzazione di tale patrimonio, denominato Greenways di Sicilia, redatto dall’Associazione Italiana Greenways, che prevede la conversione in vie verdi di 13 ferrovie in disuso, di cui i primi percorsi sono già stati realizzati.
Da dismesse a greenway, la rinascita delle ferrovie passa dalla mobilità dolce
Ma cosa sono le greenway? Sono percorsi dedicati alla circolazione dolce di pedoni, ciclisti ed escursionisti a cavallo. Ma sono molto di più: vanno considerate un movimento culturale, avviato a partire dagli anni Ottanta e che oggi interessa molti paesi in tutto il mondo. “Esso si propone, nella visione europea, di realizzare un sistema di percorsi dedicati ad una circolazione dolce e non motorizzata, in grado di connettere le popolazioni con le risorse del territorio (naturali, agricole, paesaggistiche, storico-culturali) e con i centri di vita degli insediamenti urbanistici, sia nelle città che nelle aree rurali”, come propugna l’Associazione Italiana Greenways. C’è poi la dichiarazione di Lille, sottoscritta dalle principali associazioni europee che operano sulla tematica, che spiega come le greenways sono “realizzate nel quadro di uno sviluppo integrato che valorizzi l’ambiente e la qualità della vita”, scrive Rovelli nell’Atlante.
In ogni caso, percorrere le greenways realizzate lungo le ex-ferrovie ha un significato particolare perché grazie a queste vie è possibile osservare l’ambiente con occhi diversi, spiegano gli autori, conoscendo il territorio e le tradizioni, godendo di paesaggi di straordinaria bellezza, da prospettive insolite, non accessibili dalla viabilità ordinaria. Significa vivere la cosiddetta mobilità dolce, i cui primi progetti in Italia sono stati avviati negli anni Novanta e oggi superano gli 800 chilometri, contando così su un recupero del 10% circa del patrimonio ferroviario in disuso.
Le ferrovie dismesse che passano in Lombardia
Sono “percorsi di notevole bellezza, che attraggono ogni anno migliaia di pedoni e ciclisti affascinati dalla possibilità di scoprire territori sconosciuti soltanto con la forza delle loro gambe. Solo per citarne uno, in Lombardia, c’è la ciclovia della Val Brembana, tra le acque del fiume Brembo e i boschi prealpini.
Proprio nella regione lombarda si contano almeno nove tratte:
• Asti – Mortara (Piemonte – Lombardia), del 1870
• Palazzolo sull’Oglio – Paratico Sarnico (Lombardia)
• Menaggio – Porlezza (Lombardia)
• Grandate – Malnate (Lombardia)
• Castellanza – Mendrisio (Lombardia – Svizzera)
• Bergamo – Piazza Brembana (Lombardia)
• Ostiglia – Treviso (Lombardia – Veneto)
• Voghera – Varzi (Lombardia)
• S. Antonio Mantovano – Peschiera del Garda (Lombardia – Veneto)
Ferrovie in disuso, un’opportunità da sfruttare
A voi lettori lasciamo la curiosità di scoprire queste “arterie ferrate”, leggendo l’Atlante. E un’ultima considerazione: la Germania vanta una rete ciclopedonale di 12.000 chilometri: di questi, ben 5.000 sono stati creati, recuperando linee ferroviarie dismesse; in tutta Europa si stima che le greenway lungo ex ferrovie raggiungano i 19.000 chilometri. È una rete infrastrutturale importantissima che permette alle persone di muoversi con bici, a piedi o a cavallo e di creare opportunità turistiche ed economiche incredibili.
Le ferrovie in disuso costituiscono, ricordano gli autori dell’opera, un patrimonio da sfruttare, ma occorre fare in fretta. “Se non tutelato, col passare del tempo e l’azione della natura non può che andare distrutto: i tracciati perderebbero via via la loro continuità fisica e con essa la loro caratteristica di corridoi di comunicazione; i ponti e i viadotti verrebbero smantellati o crollerebbero; le stazioni e i caselli, già oggi in molti casi abbandonati e con evidenti segni di degrado e incuria, diventerebbero rovine o scomparirebbero. E col tempo, dove i binari sono stati rimossi, se ne perderebbe anche il ricordo…”.
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