Riflessioni sulla festività santa partendo da un’intervista a un noto filosofo
“Cristianizzare” il Natale. Il titolo di questa riflessione può sembrare un po’ paradossale. Il suggerimento mi è venuto dall’intervista a un noto filosofo*, apparsa su un quotidiano nazionale qualche giorno fa. “Il Natale dei panettoni, il Natale della pubblicità, il Natale dei soldi. Il Natale oggi è una festina”, notava con un certo disgusto il pensatore, aggiungendo impietosamente che “sono i cristiani per primi ad aver abolito il Natale”.
Da questo punto di vista invito semplicemente a ricordarsi che il 25 dicembre non è genericamente Natale, ma il Natale di Gesù. Non bisogna perdere di vista Lui, altrimenti la nostra religione si riduce a una caricatura. Difatti, alla domanda circa il “perché i laici e i cattolici oggi balbettano davanti all’evento che ha tagliato in due la storia”, la risposta tagliente del filosofo è la seguente: “Perché non riflettono, perché non fanno memoria di questa storia così sconvolgente”. Già, il problema è fare memoria.
Perché la nostra società fatica a fare memoria, e perfino noi cristiani rischiamo di dimenticarci che il Natale è il Natale di Gesù? Perché – come si chiede ancora il pensatore – “il Natale è diventato una favoletta, una specie di raccontino edificante che spegne le inquietudini? Perché – pur senza generalizzare – il laico non si lascia scalfire da questo scandalo (tale è il contenuto del Natale, ndr); l’insegnante di religione non trasmette più la forza di questa storia, ma se la cava con una spruzzatina di educazione civica e il prete spesso e volentieri, declama prediche, comode e rassicuranti, che sono un invito all’ateismo?”.
La decisione di fare memoria di un evento deriva dalla consapevolezza dell’importanza che gli si riconosce circa la propria identità. Chi sono io? Chi siamo noi? Se siamo in grado di rispondere sinceramente sono un cristiano, siamo cristiani, allora sentiremo l’esigenza insopprimibile di fare memoria del Cristo, ossia di colui che ha conferito un senso del tutto nuovo alla nostra storia personale e alla storia universale.
Ma è vero che Gesù Cristo ha conferito tale senso alla mia storia e alla storia come tale? Non si può rispondere a meno di essersi confrontati con la vicenda storica di Gesù, con la sua vita, con le sue parole, con i suoi gesti. Con la sua passione e morte. Con la sua risurrezione. Con i suoi apostoli, con la sua Chiesa che da duemila anni, pur tra contraddizioni e peccati, lo annuncia e lo rende presente nel mondo.
Ha ragione il filosofo allorché, nella suddetta intervista, ricorda che “la prima distinzione non è fra laico e cattolico, ma fra pensante e non pensante. Se uno pensa, come pensava il cardinal Martini, allora si interroga e se si interroga prima o poi viene affascinato dal cristianesimo, dal Dio che si fa uomo scandalizzando gli ebrei e l’Islam”. A scanso di equivoci, ciò non significa affatto teorizzare uno scontro di civiltà, bensì auspicare il dialogo tra le religioni, che “parte dalla consapevolezza”.
Dove sta lo “scandalo”, la pietra di inciampo? Fondamentalmente in questo fatto sensazionale: la Trascendenza di Dio (di cui gli ebrei e i musulmani hanno un senso molto profondo) in Cristo si mostra come vicinanza. Dio si fa uomo. Egli nell’assunzione dell’umanità di Gesù di Nazareth non perde nulla della sua divinità.
Questi è nel contempo il Figlio di Dio, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero e il figlio di Maria, il figlio dell’uomo, vero uomo. Perciò, giustamente il pensatore parla del brivido che dovrebbe prenderci davanti a una vicenda così grande, incommensurabile. Dio si è fatto uomo per divinizzarci.
Domani sarà il Natale di Gesù se ritroveremo questo brivido o, se preferite, lo stupore e la meraviglia di fronte all’evento dell’Incarnazione del Figlio di Dio, principio della nostra vita di figli di Dio, eredi della sua stessa vita.
* Per leggere l’intervista integrale al citato filosofo (Massimo Cacciari) sul Natale pubblicata dal quotidiano Il Giornale il 30 novembre 2017, clicca qui.
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