Perdere il patrimonio artistico è perdere la propria identità. Ecco perché le immagini della distruzione stanno facendo così male agli italiani. Si vive con la paura di non sapere più chi si è e come si sta nel mondo.
Devastanti e continui terremoti stanno smaterializzando il Centro Italia. Muti di fronte a tanta distruzione ci diciamo che per fortuna non ci sono morti, ma forse, proprio perché non abbiamo vite umane da piangere, la devastazione di quei paesi ci si presenta in tutta la sua crudezza.
Al momento si calcola che siano circa cinquemila le opere d’arte deturpate o perse per sempre. Ma perché guardare le immagini della distruzione fa così male? Perché perdere il patrimonio artistico è perdere la propria identità. Non sapere più chi si è e come si sta nel mondo. Che posto avremmo tra gli altri stati senza la nostra Italia dietro di noi?
Ci staremmo come sta a una cena di gala un povero che non ha un abito adatto, un ignorante che non ha argomenti di conversazione, un idiota che neanche capisce perché sia lì. Mentre noi italiani a quella tavola stiamo da sempre al posto d’onore. Perché l’Italia rappresenta la bellezza e la cultura al massimo grado della biodiversità.
A cominciare dalla nostra lingua amatissima all’estero tanto da essere la quarta lingua più studiata. Impreziosita da forme latine e greche, ornata da tracce di dialetti e regionalismi, la lingua di Dante e di San Francesco, dei mercanti veneziani e degli aristocratici fiorentini, di Verdi e di Manzoni che nell’Arno sciacquò i panni dei suoi Promessi Sposi.
L’italiano è la lingua che nel mondo parla del Bello made in Italy: dal design e alla moda. E del Buono: la cucina declina in mille e mille piatti i prodotti unici della nostra terra. Ma l’elenco delle nostre ricchezze è inesauribile.
Ovunque dipinti, affreschi e cattedrali, panorami e prospettive, borghi medioevali, strade romane e ville patrizie, tutto perfettamente inscritto nel paesaggio incantato che ispirò poeti e pittori illustrissimi.
Potremmo continuare all’infinito e ci dimenticheremmo sempre qualcosa. Siamo figli di un piccolo grande paese ingioiellato dalle Alpi a Lampedusa.
Ma se tutto questo andasse perduto? L’abbiamo visto può accadere e in pochi secondi. Immaginiamoci per un attimo turisti o emigranti con alle spalle un paese senza Roma senza Noto senza Castelluccio e senza i nostri letterati e musicisti senza più nulla della nostra storia.
Un baratro si aprirebbe di fronte a noi. Saremmo perduti. Eppure non si tratta di un’ipotesi remota. Questo terremoto ci dice che ci vuole un attimo e la chiesa di San Benedetto si sbriciola come un castello di sabbia alla prima onda.
Di fronte a tutto ciò un pensiero avvelenato si fa avanti, perché tutti sappiamo, lo abbiamo imparato negli anni, che mentre la maggioranza di noi piange alcuni pensano agli affari che faranno grazie alla ricostruzione, che sarà al solito lenta, malfatta, trascurata, colpevole, imprecisa. E il senso di impotenza ci assale.
Tutti sappiamo che la corruzione, il malaffare, il degrado etico della classe dirigente sono responsabili dell’impoverimento economico e morale della nostra comunità e che corrode e corrompe la nostra fiducia.
E mi viene in mente che somigliamo al bifolco che ha ereditato un patrimonio ingentissimo tanto grande da non poterlo quantificare, ma non avendolo guadagnato né vedendone la fine si permette di sprecarne tanto ce ne sarà ancora e poi ancora e poi ancora. Che fare?
Dal 24 agosto 2016 il terremoto sta mangiando il cuore del nostro Paese, i luoghi dei silenzi del sacro, della semplicità, della perfetta armonia tra uomo e natura. Luoghi da cui oggi sale un silenzio che ci raccontano essere insostenibile.
Ma non solo: sta divorando la nostra identità taglia le nostre radici cancella la nostra storia e ci restituisce più poveri al mondo. Possiamo accettare tutto ciò di nuovo passivamente?
Ci sono stati momenti in cui noi italiani siamo stati capaci di prendere in mano il nostro destino e sempre quando in ballo c’era la nostra identità di popolo e cito solo due esempi lontani tra loro per tempo e misura ma ambedue significativi la ribellione al nazifascismo e la ricostruzione del Friuli dopo il terremoto del ’76 un modello inarrivabile.
Ebbene ora è di nuovo in discussione la nostra identità: è il momento di reagire perché tocca a noi i privilegiati, nutriti e allevati con cultura e bellezza dai nostri Padri e dalla Natura l’onere e l’onore di preservarle e rappresentarle nel mondo.
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