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Sport: Davide Gentile racconta la Tor des Géants

Sport: Davide Gentile racconta la Tor des Géants

L’ultra maratoneta di Magenta, conclusa una delle corse più dure al mondo, racconta cosa significhi affrontare simili sfide e programma la prossima gara

Gentile in gara

Se ogni viaggio comincia con un singolo passo, provate a farne 480mila tutti di fila. Sono quelli che, all’incirca e per difetto, ha percorso Davide Gentile, ultra maratoneta 43enne di Magenta, in soli sei giorni, durante la Tor des Géants.
La “Corsa dei Giganti ” è una gara di trail tra le più dure al mondo: l’edizione di quest’anno, la decima, prevedeva un percorso di 338 chilometri e 28mila metri di dislivello. Si svolge in Val d’Aosta, tra le montagne, regalando sì paesaggi e panorami mozzafiato, ma imponendo un ritmo massacrante e linee spezzate che solo chi le prova sa quanto siano dure.
Per questo il Tor è una competizione estenuante, che seleziona fin dal principio: su 920 iscritti, di 74 nazioni diverse, ne sono giunti al traguardo solo 580. Davide l’ha portata a termine e si è anche posizionato benissimo: 176esimo, con il tempo di 123 ore e 50 minuti.
Ma perché uno dovrebbe provare a correre una gara di questo genere? Cosa spinge Davide e chi come lui decide di cimentarsi in queste sfide? «Gare come queste sono un viaggio, un’impresa con se stessi per scoprire il proprio limite», risponde. E ci racconta come si è allenato per questa ultramaratona.

Gentile in un pausa con i figli Diego e Giulio

Un allenamento all’endurance lungo anni
«Competizioni come il Tor des Géants non si preparano in mesi, ma in anni di allenamento con chilometraggi sempre più lunghi e dislivelli sempre più importanti», racconta l’ultra maratoneta per diletto. Sì perché Davide non è un professionista, ma si cimenta in gare di ultra running e trail solo da due anni e mezzo. «Ho cominciato a correre cinque anni fa – spiega – Dopo aver smesso con il calcio avevo voglia di fare uno sport che riuscisse a conciliare la famiglia, il lavoro e mi permettesse libertà di movimento e di tempi per allenarmi». La passione per la corsa ha… contagiato anche la moglie Cristina, con cui si alternano in settimana, riuscendo così a vivere pienamente la loro famiglia composta dai due figli, Diego e Giulio.
Dai percorsi di 10 chilometri, Davide si è così messo alla prova su distanze sempre più lunghe, arrivando così alle maratone. Poi la voglia di allungare ancor più in là il traguardo l’ha portato a gare di 70, 100 e più chilometri. Quest’anno, in primavera, ha partecipato alla Milano-Sanremo, gara di endurance da 285 km.
«Ma il mio sogno era il Tor des Géants, cui ho partecipato anche quest’anno al sorteggio». Su più di duemila iscritti è stato estratto il suo nome. Da lì la preparazione sempre più specifica fino a quest’estate in cui, durante le vacanze in Val d’Aosta, ha provato qualche parte di tragitto della gara, arrivando a percorrere 350 chilometri e più di 20mila metri di dislivello.
La competizione è un’altra cosa: «il Tor si corre in autosufficienza nel senso che si prepara un borsone di 60 kg contenente tutto quello che potrà essere utile. Quello che si ritiene necessario, lo si stiva di volta in volta in uno zainetto». Nei sei giorni di competizione, ogni runner decide cosa gli serve e il volume restante degli indumenti e accessori vengono trasportati dai volontari dell’organizzazione nel base-vita successivo.

La durezza dell’ultramaratona
La dimensione più dura, oltre che fisica, è anche psicologica: «Ogni corridore deve percorrere 50/60 chilometri al giorno – spiega Gentile – Una volta giunto nella struttura predisposta avevo giusto il tempo di lavarmi, cambiarmi, preparare lo zaino, farmi medicare e massaggiare, dormire un po’». Oltre ad aver dovuto affrontare pioggia, freddo, neve, ammette che in media ha dormito un’ora al giorno. «Ho avuto talvolta allucinazioni e colpi di sonno», racconta, ricordando i sassi che sul tragitto si trasformavano in tartarughe e i rami secchi in serpenti. Il momento di crisi c’è stato: «Siamo partiti il primo giorno col sole e siamo giunti dopo pochi chilometri al Col d’Arp (2571 m) sotto una fitta nevicata. Ma questo non è stato nulla: il terzo giorno ho dovuto correre diverse ore sotto pioggia e vento, con temperature sottozero, nel fango, scivolando più volte». Malgrado tutto, è riuscito a riprendersi e portare a termine la competizione, esausto, «correndo le ultime 6 ore in compagnia di un runner finlandese, sforzandomi di parlare in inglese di ogni cosa ci passasse per la testa pur di stare svegli».

All’arrivo della Corsa dei Giganti insieme alla famiglia

Le soddisfazioni, i prossimi obiettivi e il sogno: Spartathlon
A ripagarlo però ci sono i tanti momenti unici: «Il contatto con la natura è spettacolare, le albe in alta quota sono bellissime, ma la cosa che mi è piaciuta di più è stata l’accoglienza della gente; a cominciare dai tanti volontari lungo tutto il percorso, pronti a medicarti, massaggiarti, rifocillarti, ma anche le persone che facevano il tifo e ci rincuoravano al passaggio. Mi ha fatto comprendere una volta in più quanto sia amata qui la corsa in montagna». E poi, dopo tanta fatica, l’abbraccio di Cristina e dei figli che l’hanno accompagnato nell’ultimo chilometro l’hanno ripagato pienamente. «Ho portato a casa la convinzione che se vuoi fare una cosa non esistono ostacoli».
E ora, terminata l’impresa, ripreso il lavoro come operaio metalmeccanico e il tran tran quotidiano, smaltita la gara, ha già ripreso a correre. E a programmare nuove sfide: «Nel 2020 mi piacerebbe riprovare la Milano-Sanremo, migliorando la mia performance. Ma ho anche un sogno: la Spartathlon, corsa tra Sparta e Atene di 246 km», conclude.

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