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Dialogo con l’artista Riccardo Centimeri

Dialogo con l’artista Riccardo Centimeri

Storia di una linea che si distrasse e da muro divenne ponte

Vagavo nel web alla ricerca di spunti per connettere l’arte al sociale. Non sapendo come organizzare la mia ricerca, oziosamente digito #artesociale su Instagram. Mi appare tra i primi risultati la foto di un ragazzo seduto per terra in metropolitana vicino ad una macchinetta delle merendine.

Davanti a lui un grosso foglio con delle linee convergenti tutte nello stesso punto: nel mezzo del foglio dove era presente un cerchio. La descrizione della foto di Instagram recita: “Ogni posto è buono per far sbocciare un poco di umanità. A contatto con la gente. Dentro la metro, dentro la linea”.

Immagina che sei in metropolitana e magari stai guardando il tuo telefonino. Ora, uno sconosciuto arriva, ti dà in mano un pennarello, mette un grande foglio davanti a te e ti chiede di tracciare una linea che dall’esterno arrivi alla figura geometrica centrale.
Questo sconosciuto si chiama Riccardo Centimeri.

Incuriosita lo contatto, fa le sue performance a Milano, quindi è facile incontrarsi. Mi si presenta un personaggio a tratti scanzonato, a tratti sensibile e un po’ permaloso. Dopo una lunga conversazione artistico-filosofica, Riccardo fa una breve pausa e poi esordisce dicendo: “Ma il fatto è che divertirsi è importante! A me piace giocare! In fondo è tutto un po’ come un gioco no?”.

Cerco di andare a fondo del pensiero di Riccardo, un pensiero che cammina sulla linea tra il gioco e la quotidianità, tra la provocazione e la riflessione. Nei lavori di Riccardo ritorna costantemente la linea: “Se poniamo una linea tra me e te, questa linea diventa una barriera tra di noi, è come un muro. Tu sei il giallo e io sono il blu. Ognuno di noi è convinto della sua posizione, e rimane staticamente lì. Dove potremo incontrarci? Una linea ci separa”.

È così che quell’“insieme-di-linee-che-si-intersecano” che è la metropolitana, in realtà ci vede lontani l’uno dall’altro: ognuno circondato dagli altri ma perso nel proprio mondo.
Fino a quando Riccardo arriva con il suo grande foglio bianco e ci “spinge” a vederci. La linea tra noi cade, e viene sostituita da una linea diversa, una linea da te a me: ci stiamo incontrando, stiamo vivendo uno spazio e una esperienza condivisa, e stiamo creando insieme un’opera d’arte.

 

Spesso, il nostro uso del linguaggio fa sì che filtriamo l’esperienza delle “cose” che ci circondano tramite nomi e giudizi, e poi altri nomi e altri giudizi. In generale si associano tanti concetti alle “cose”, e ognuno poi vive nel proprio mondo, nel proprio spazio ritagliato tra le idee che ci siamo fatti delle “cose”.

“Ma guarda questo” – e mi indica il supporto di legno che stava tra di noi mentre prendevamo da bere (il tavolo insomma) – Questo è semplicemente “questo”, “è (qualcosa che è)”.

“Abbiamo imparato ad associare il concetto tavolo a questa esperienza, a questa immagine. Ma pensa ora a questo solo come ciò che io e te stiamo vedendo insieme, a questo che “è” sia per te sia per me”. Riccardo, insomma, ci dice: “Torniamo a sentire”, a “distrarci” per un momento da noi stessi e dalle nostre idee, alziamo lo sguardo e sentiamo le cose che ci stanno attorno. “Ecco, forse a volte serve un po’ distrarsi”.  E a questo serve il gioco. Proprio nel momento in cui ci distraiamo e ci divertiamo un attimo, ci permettiamo di vivere in modo più spontaneo e con gli altri.
Per stimolare le persone a ciò, è necessario coglierle di sorpresa, distrarle dalla loro quotidianità, per riaccendere la capacità di “accorgersi” di ciò che le circonda.

“In questa esperienza i nostri colori, il tuo giallo e il mio blu per esempio, si incontreranno, per un attimo saranno insieme, saranno verde, e quando ritornerai “concentrato”, avrai conosciuto qualcosa di più anche di te stesso”. Per un attimo, noi che non avevamo niente in comune e ci sentivamo opposti, abbiamo vissuto insieme il nostro verde.

Riccardo rende esplicito l’incontro tra il blu e il giallo in questa sua altra esibizione in cui imbeve di colore un materasso, un lato blu e uno giallo, e lo fa poi rotolare sul marciapiede, realizzando dei passaggi di colore.

Qui il blu e il giallo sono visti come pensieri contrapposti all’interno della stessa persona. Ma né il giallo né il blu ci definiscono: “Non penso che la divisione tra due cose sia così netta, non penso neanche di essere sempre relegato a uno stato piuttosto che a un altro. Penso però che se voglio cambiare e passare da un opposto all’altro bisogna fare un’azione.

Da una parte più fisica, spostando il materasso doppiamente colorato, da una parte più ideale, con i piedi, passando dal blu al giallo. Mi accorgo così che i colori si disperdono lungo la via e sotto i piedi si manifesta una nuova consapevolezza. Non più due colori ma uno, il verde a rappresentazione dell’Unione compiuta e della dissoluzione degli opposti”.

Per seguire Riccardo e vedere anche i video delle sue esibizioni clicca qui.

Foto di Bianca Baratti

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