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Ciclisti guerrieri per sicurezza e mobilità

Ciclisti guerrieri per sicurezza e mobilità

Piste ciclabili fai-da-te, buche evidenziate in modo pittoresco, ologrammi: i ciclisti si mobilitano per rendere le città più vivibili

La chiamano “guerrilla bike” ed è una forma di protesta, civilissima, che ciclisti e simpatizzanti attuano per combattere a favore di un ambiente più sicuro per tutti i cittadini. Questa forma non violenta e creativa è attuata in tutto il mondo per questo scopo e il media cominciano a dare spazio. Il più recente è il quotidiano britannico The Guardian che  ha pubblicato un articolo dedicato al fenomeno che sta prendendo piede in tutto il mondo. Il titolo è quanto mai chiaro: “I ciclisti guerriglieri che risolvono i problemi del trasporto urbano”.

Piste ciclabili pop-up e buche pittoresche
Dovunque, nel mondo, la pianificazione dei trasporti e le infrastrutture tendono a favorire l’auto, e le strutture per ciclisti e pedoni sono solo un “ripensamento”, scrive il quotidiano. Per tutta risposta, i ciclisti urbani frustrati hanno manifestato la loro volontà sul tessuto stesso della città, tentando di ribaltare il dominio della macchina e creando un ambiente più sicuro per muoversi in bici in modi fantasiosi. Il concetto è: “Il ciclismo ha il potere di trasformare le persone in una comunità e le comunità hanno il potere di migliorare le nostre città. Questi esempi mostrano come l’attivismo possa essere una soluzione reale ai problemi urbani”.

Si segnala l’esempio di San Francisco dove un gruppo di cittadini ha realizzato piste ciclabili temporanee delimitate da fiori e coni stradali, in reazione alla morte di due ciclisti sulla strada. Un miglioramento rapido, economico e semplice con un messaggio chiaro: sono necessarie infrastrutture più sicure per prevenire future morti. Il risultato di questo esperimento urbano non autorizzato è stato un cambiamento permanente, evidenzia The Guardian: molte delle piste ciclabili sperimentali costruite dal gruppo cittadino di sicurezza stradale furono sì sanzionate dall’amministrazione, ma poi realizzò infrastrutture ciclabili ufficiali.

In Kansas la protesta è stata più chiassosa, ma non meno efficace: qui è sorta durante la notte una pista ciclabile delimitata da sturalavandini. Il consiglio comunale ha riconosciuto l’utilità e ha deciso di investire con misure attente alla ciclabilità.
C’è poi il caso delle buche dipinte. Innanzitutto, è bene segnalare che, se per un automobilista possono essere solo un’inconveniente lieve che al massimo può arrecare una sollecitazione agli ammortizzatori, per chi si muove su due ruote può diventare davvero pericoloso. Lo street artist Wanksy ha adottato un approccio innovativo a Manchester: dipingere peni intorno a buche e documentare il suo lavoro in modo anonimo sui social media. Anche in questo caso la risposta della pubblica amministrazione è stata di condanna, ma poi hanno provveduto a colmare le buche.

Ma la forma più innovativa, tecnologicamente parlando, l’ha messa in atto a Vancouver (Canada) il gruppo di prevenzione preventable.ca creando ad arte un pavimento 3D per far diminuire la velocità ai veicoli in circolazione. L’ologramma di un bambino che va a prendere una palla sembra alzarsi da una certa distanza, ma svanisce non appena ci si avvicina.

Ciclisti a Milano, la protesta è viva
Anche in Italia si attuano forme civili di sensibilizzazione alla necessità di più piste ciclabili e maggiore sicurezza per chi si muove a piedi e in bici. La più significativa è Critical Mass Milano, che riprende un movimento internazionale. Si tratta di un incontro occasionale di persone che, una sera alla settimana, decidono di ritrovarsi spontaneamente e di fare massa critica, muovendosi insieme. Il concetto è ben espresso sulla pagina Facebook del gruppo: “Noi non blocchiamo il traffico…noi siamo il traffico!” e spiegano cosa sia Critical Mass: un gruppo di persone che decide di pedalare per la città nella stessa direzione.

“Se ci sono abbastanza ciclisti, pattinatori, corridori… il gruppo diventa “massa critica”, una massa che può ri-prendere possesso di una strada e si può muovere in sicurezza”. Ci tengono a segnalare che non c’è un capo, ma è un’organizzazione spontanea.
Anche a Milano sono state dipinte piste ciclabili abusive in determinati punti della città, in modo da sensibilizzare l’amministrazione comunale sui punti critici della viabilità e alzare il livello di sicurezza per chi si muove a piedi o in sella al proprio mezzo a pedali. Pure a Roma si segnala qualche episodio simile: in ogni caso è l’Italia che deve cambiare sul tema. Troppi i morti sulle strade: l’Istat nel 2015 stimava che almeno 45 ciclisti al giorno siano coinvolti in incidenti e i morti in sella a una bici sono stati 252, uno ogni 35 ore.

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