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A Robecco con Alegher, che fatica essere uomini

A Robecco con Alegher, che fatica essere uomini

È uno spettacolo teatrale che ci interroga sulle dinamiche sottese alla relazione con lo straniero, spesso ridotto a “uomo nero”: brutto, sporco e cattivo

È la prima della stagione teatrale e musicale 2017 del CineTeatroAgorà di Robecco sul Naviglio, un paese che si trova nel cuore del Parco del Ticino a pochi chilometri dalla grande metropoli milanese. La temperatura è rigida. Non piove.

Le persone si accalcano davanti alla biglietteria. Ci sono gli abbonati e quelli dell’ultimo minuto. Non si può ancora entrare in sala. Si attende qualcosa che non tarda ad arrivare. Infatti, appare un uomo elegante con occhiali e un sorriso beffardo che porta al guinzaglio un altro uomo, uno straniero con barba lunga e nera e capelli incolti che inizia a parlare in un italiano stentato, facendo domande e cercando in maniera discreta il contatto con le persone in fila.

Li coinvolge in vario modo con una mimica buffa. Le due figure rientrano poi nella sala. Dopo qualche minuto anche il pubblico può entrare ma, di fatto, lo spettacolo è già iniziato. Seduto in prima fila ritrovano lo straniero che era al guinzaglio. Si presenta e racconta la sua storia, da dove viene e che cosa fa per sopravvivere.

Lui è Alegher, un venditore di rose e (agli occhi di molti italiani) un pezzo di merda che non ha nessun diritto perché “illegale”. Cerca ancora di interagire con le persone in sala, offre loro perfino del the. Sta aspettando qualcuno che teme. È l’uomo elegante con gli occhiali e un sorriso beffardo che all’improvviso sopraggiunge dal fondo della sala. Ha dei fogli in mano, si avvicina a chi del pubblico, nel frattempo, ha preso posto e chiede, in lingua tedesca, di mostrargli i documenti.

Nessuno lo capisce. E lui a ogni risposta fa un segno rapido su un foglio con la penna. È chiaro sin dall’inizio che è un rigido burocrate, rappresenta le regole, è privo di qualsiasi emozione.

Alegher finalmente sale sul palco, dove due musicisti accompagnano lo spettacolo con sonorità live. Racconta la sua storia, la sua disperazione, la sua fatica nel continuare a “essere un uomo” in terra straniera. È un crescendo di drammaticità ed emozioni che lasciano il segno.

Il protagonista cerca la propria identità, sa chi era, sa che cosa è diventato e poi non sa più nulla. È confuso. La voce e i movimenti ritmici del suo corpo coinvolgono gli spettatori. È da loro che lui, venditore di rose e pezzo di merda, cerca le risposte.

Di tanto in tanto, irrompe una traccia audio con interviste a gente comune sull’immigrazione, in cui emerge la paura collettiva verso ciò che non si conosce, verso il diverso, lo straniero, “l’uomo nero” che nella ninna nanna italiana è quello che si prende il bimbo e se lo tiene un anno intero. Si inizia da piccoli ad alimentare la paura contro gli uomini neri che oggi vengono in Italia in modo illegale e affondano le loro mani sudice nel pane bianco!

La messa in scena termina tra gli applausi. Non si può raccontare tutto. Non si possono raccontare i colpi di teatro. Si apre il dibattito con gli organizzatori e gli attori.

È questo in sintesi il resoconto del primo spettacolo della stagione, “Alegher che fatica essere uomini”, scritto e interpretato da Eugenio Vaccaro insieme al collega Alessandro Angelelli.

Si chiarisce qualche aspetto del personaggio e della trama che sviluppa il tema delle relazioni con lo straniero e mette a nudo ogni singolo spettatore portandolo a interrogarsi sul concetto di accoglienza, di condivisione, di integrazione. Noi accogliamo lo straniero o per mille ragioni – che comprendono anche il razzismo – riteniamo più opportuno che se ne stia a casa sua?

È andata. Non resta che attendere i prossimi appuntamenti.

Danilo Lenzo
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